Eccoci di nuovo con una ricetta facile e deliziosa, e con un grandioso background storico-culturale! 📖
Oggi parliamo dell'impasto per pizza sannita e quindi del Sannio, luogo d'origine di Ari. Il Sannio è una regione storica dell'Italia meridionale dai confini non ben definiti. Corrisponde all'area abitata dall'antico popolo dei Sanniti ed oggi viene identificata con l'area a cavallo tra Molise, Campania e Abruzzo che si estende attorno al massiccio del Matese, nel cuore dell'Appennino Campano, delimitato dai fiumi Volturno, Tammaro e Biferno.
I fenomeni carsici, gli splendidi paesaggi boscosi e i pascoli verdeggianti lo rendono un'area estremamente interessante dal punto di vista naturalistico, tanto da essere diventato, nel 2002, oggetto di tutela mediante l'istituzione del Parco Regionale del Matese.
La ricetta che vi proponiamo infatti, ha qualche centinaio d'anni, poiché si è tramandata di madre in figlia per generazioni...fino ad oggi!
Nella famiglia di Ari, le tradizioni culinarie del posto sono sempre state importanti, tanto da portare i genitori a costruire un forno a legna ad hoc per fare la pizza e il pane il fine settimana. Così come la nonna e la bisnonna (e via discorrendo) facevano nell'antichità.
Un tempo il pane era un elemento fondamentale nella dieta di chiunque, anche perché la povertà non permetteva di avere di meglio. Le nostre nonne facevano il pane una volta alla settimana o anche ogni quindici giorni, considerato che quasi ogni famiglia possedeva una quantità di grano sufficiente a sfamare i vari componenti della stessa. Si viveva di ciò che si produceva, le famiglie erano molto numerose.
Quindi, ogni famiglia produceva del grano (o lo acquistava dal produttore) e lo portava al mulino. I cosiddetti "grani antichi" che si trovavano nel territorio sannita erano (e sono tornati ad esserlo):
Grano Saragolla (in dialetto Saraòlla)
Grano Senatore Cappelli
Grano Romanella
Il grano Saragolla è una particolare varietà di grano duro con ogni probabilità importata dal Medio Oriente in Italia dalle popolazioni provenienti dall'attuale Bulgaria nel V secolo d.C.. Il termine saragolla deriva proprio da quel ceppo linguistico ed è composto dal sostantivo “sarga”, che significa seme, e dall'aggettivo “golyo”, che significa giallo. La sua coltivazione si è così radicata su questi territori della Campania da essere stata inserita nell'elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT).
Il grano Senatore Cappelli è un grano duro nato solo 100 anni fa, grazie all'opera di miglioramento genetico di una varietà di frumento tunisina portata a compimento dal genetista Nazareno Strampelli, aveva la necessità di sfamare il popolo italiano garantendo un rapporto resa/apporto nutrizionale ottimale. Prende il nome dal Senatore abruzzese Raffaele Cappelli, che ospitò il genetista nella sua Masseria Manfredini per perfezionare la sua opera.
Il grano Romanella è una varietà di grano tenero (triticum sativum.a. aestivum) caratterizzata da chicchi di colore rossastro, spiga chiara, piccola, a sezione rettangolare-ellittica, con reste corte, chicco rugoso. Questa è una delle pochissime varietà di grano tenero tradizionali dell'area appenninica meridionale, probabilmente di epoca romana e originariamente coltivato in Terra di Lavoro (piano campano fra il Garigliano ed i Campi Flegrei), usata per la produzione di farine atte alla panificazione.
Una volta portato il grano al mulino e macinato, si riceveva in cambio tutto il risultato della macinatura. A questo punto, si tornava a casa e si setacciava. Con il primo setaccio (a grana molto larga) si sceglieva tutta la crusca grossa (poi utilizzata come mangime per animali o nel latte per fare colazione); con il secondo setaccio (a grana meno larga) si sceglieva la crusca meno grossa e la semola; dal terzo setaccio in poi si sceglieva sempre più la farina sottile, per fare pane e dolci.
In seguito, i mulini si sono attrezzati ed hanno iniziato a setacciare da sé le farine per i clienti, fino alle moderne tecniche di oggi.
In linea di massima, però, veniva utilizzato il grano duro. La Saragolla potrebbe essere stata la più utilizzata, perché mamma Concetta ha sempre chiamato in questo modo la semola in genere. Papà Giovanni afferma che veniva utilizzato il grano duro per un motivo semplice: le persone erano povere, e per fare la pasta col grano tenero ci volevano anche le uova, mentre col grano duro no.
La semola di grano duro si distingue subito rispetto alle farine ricavate da grano tenero, grazie al suo caratteristico colore giallastro e alla consistenza più granulosa rispetto a quella della farina bianca.
La semola di grano duro è:
Proteica
Ricca di fibre
Contiene vitamine e sali minerali
Antiossidante
Con un indice glicemico più basso delle farine prodotte dal grano tenero
Quindi, dopo tutto questo excursus sul grano duro, possiamo passare alla ricetta della pizza con questo cereale ricco di proprietà. La tradizione di famiglia dice di fare pane e pizza con sola semola di grano duro. Ma qui si è andati oltre e si aggiunge un 10% di farina integrale. Dopo tanti tentativi, è la consistenza che ci è piaciuta di più, morbida ma allo stesso tempo croccante. È una pizza leggerissima che non appesantisce, anche mangiandone tanta. Ma vi invitiamo a provare anche la versione con 100% semola di grano duro (meglio se di un ottimo mulino tradizionale).
Ingredienti:
(per 3 persone ca.)
600 g semola di grano duro
100 g farina integrale
30 g lievito madre in polvere
10 g zucchero
20 g sale
500 ml acqua a temperatura ambiente
Procedimento:
Pesare la semola in una ciotola (abbastanza capiente da reggere la lievitazione), aggiungere la farina integrale, il lievito in polvere, lo zucchero, il sale.
Mischiare tutte le polveri con un cucchiaio, renderle uniformi prima di impastarle.
Accendere l'impastatrice (siamo fortunate ad averla, se non l'avete dovrete usare tutto l'olio di gomito possibile per impastare a lungo), e aggiungere lentamente l'acqua, fare molto attenzione alla consistenza (per la pizza lo facciamo abbastanza umido), e impastare il tempo giusto da far prendere aria all'impasto. Ricordate che ogni tipo di farina incorpora diverse quantità di acqua, quindi il valore è sempre indicativo.
Dopo che la consistenza sarà giusta (se avete impastato a mano) o nel momento in cui l'impasto si legherà al gancio, sarà pronto.
Lasciare l'impasto nella ciotola o cambiarla, è uguale, spolverare con della farina e coprire con della pellicola (se lo ricoprite ermeticamente ricordate di fare dei buchini con uno stuzzicadenti per far passare l'aria).
Far lievitare 3 ore avvolto in una coperta (se lo fate lievitare nel forno leggermente caldo il tempo dimezzerà, vale lo stesso in base alle stagioni: d'estate lieviterà prima).
Dividere i panetti: dipende dalla dimensione del tegame. Col tempo ci farete l'occhio, pesateli ogni volta per rendervi conto quale sarà il peso ideale per i vostri tegami.
Rimettere a lievitare ricoperti da pellicola bucherellata e copertina per altre 3 ore (per il tempo vale la stessa regola della temperatura di cui sopra).
Trascorse le 3 ore, ricoprite i tegami di carta forno, ungete con un filo d'olio e iniziate a stendere. Far lievitare l'impasto nei tegami per una mezzora (ricoprire con gli strofinacci umidi per non far seccare).
Condite a piacere e infornate in forno statico a 220° per 20 minuti.
Et voilà! La pizza fatta in casa secondo le antiche tradizioni!
Noi in questo caso (causa impossibilità da quarantena) abbiamo utilizzato una semola commerciale, quella de La Molisana, perché a quanto pare priva di sostanze nocive per la salute (per maggiori informazioni leggere qui).
Fateci sapere se provate la nostra ricetta e se vi è piaciuta!
Buon appetito!🍕🤤
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